Ci ritorno - Dove si mangia a Pisa e dintorni

18.1.06

Dell'agriturismo - Costume

Dalle mie parti (la Toscana del sud) l'agriturismo è un podere un po' sperduto in campagna, dove oltre a coltivare i proprietari si sono attrezzati per ospitare i turisti, portarli a cavallo, vendere i propri prodotti. Nei dintorni di Pisa invece con la voce "agriturismo" si intendono diverse cose:

  • Un casale risistemato, imbellettato e patinato similrustico, attrezzato di piscina, dove grazie al catering esterno si possono ospitare banchetti, praticamente un albergo leggermente fuoristrada.
  • Il ristorante di campagna.
  • Il mangificio.
La prima categoria ci importa poco. La seconda comprende posti che dell'agriturismo non hanno nulla, ma nei quali a volte si mangia anche benino (ho in programma una schedina futura su uno di questi posti). La terza categoria invece è quella di cui vorrei parlare. C'è un largo numero di cittadini che collegano il termine "agriturismo" con un posto che possiede le seguenti caratteristiche:
  • E' una casaccia leggermente sottostrada o a mezzo chilometro dalla provinciale
  • E' generalmente un'ode all'abuso edilizio. Per elevare il numero dei coperti infatti i proprietari edificano tettoie estive che rapidamente diventano locali chiusi. Al condono seguente una nuova fetta viene aggiunta e così via: i recenti condoni berlusconiani hanno sicuramente raddoppiato i coperti di molti di questi posti.
  • Non possiede nemmeno mezzo metro di terreno coltivato. Nemmeno il prezzemolo. Nemmeno tre piante di maria del figliolo.
  • Non possiede neppure un pollaio, o una conigliera, nulla.
  • Gli unici attrezzi agricoli sono quelli (mai usati) attaccati alle pareti nelle stanze interne più vecchie (le nuove sono in carton gesso o truciolare e non puoi attaccarci niente...).
  • Avendo convertito il terreno circostante in parcheggio, l'unica cosa che cresce nelle vicinanze è l'ortica (non crediate però che finisca nei tortelli).
Il prezzo è generalmente basso, giacché la ristorazione in questi posti è di livello aziendale:
  • Il menu è fisso. Le stesse tre cose da quando ha aperto il locale, in barba alle stagioni.
  • Grande sfoggio di paste "fatte a mano" dall'industria e di tortelli surgelati.
  • Grande uso del ragù di cinghiale o altra cacciagione ricavabile in larga parte dal comune lesso di vitellone.
  • Cucina anni '70: panna a secchiate, polli col fischio, "rosbìf" stracotto, patate arrosto imbevute d'olio, olio e funghi del fustino.
  • Camerieri che tirano a fare numero. Generalmente scortesi, a volte ti prendono per i fondelli. Il classico posto dove se devi cambiare una forchetta fai prima a tenertela e a mangiare col coltello e basta.
  • Dolci stile coppamalù.
  • Qualche volta, per i temerari, pesce (!).
  • Vini della casa terrificanti, forse fatti con le buste. Altrimenti bottiglie stile galestro.
Il tutto nella bolgia indescrivibile di 100 coperti e più, coi bambini dimenticati dai genitori che corrono non nel giardino fuori, perché è un posteggio, ma in mezzo ai tavoli. Quando c'è la partita, maxischermo a go-go. Ecco. Ai tanti che conosco in cerca dell'«agriturismo bono», vorrei dire che questo, fondamentalmente, non si chiama "agriturismo". Si chiama "postaccio del menga". Tutto qui, tanto per puntualizzare. Non prendiamoci per le natiche.

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